febbraio 2014 | nº 06 |
Il Cilento, l'Expo 2015, la dieta mediterranea e le «alici di Menaica» Francesco Scianni | |||||||||||||||||||
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Che meraviglia il Cilento! Lo sa bene chi ci vive da secoli, chi ha visto tramandare di padre in figlio gli usi e i costumi locali, chi ha sperimentato la cucina di questi meravigliosi luoghi. Luoghi che si aprono al visitatore con una miriade di prodotti tipici difficilmente trasferibili altrove. Solo nel Cilento, si può infatti praticare un certo tipo di pesca delle alici, produrre un determinato tipo di caciocavallo, di olio extravergine di oliva e di frutti della terra. Vuoi per la conformazione geomorfologica, vuoi per il clima, vuoi per la passione e l'attaccamento alla propria terra da parte dei cilentani, questo territorio è dal 2010 con la dieta mediterranea Patrimonio culturale immateriale dell'Umanità dell'Unesco. Dieta intesa come conoscenze e competenze, pratiche e tradizioni legate alle colture, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione, e non ultimo il consumo del cibo, rimasti fedeli nel tempo. E' lo stesso governatore della Campania, Stefano Caldoro, a sottolineare come sia proprio nel Cilento la sede della dieta mediterranea e come all'Expo di Milano del 2015 toccherà a questo territorio portare alti i colori di questa dieta. «Nelle aree tematiche dell'Expo ci inseriremo con il nostro bene Unesco, siamo noi il punto di partenza e possiamo e dobbiamo portare alta la bandiera». Tra i prodotti principali della dieta mediterranea (dieta dal greco «diaita», o stile di vita) figurano cereali, frutta fresca e secca, verdura, olio d'oliva, pesce, latticini e carne, spezie e condimenti, vino e infusi. Proprio la produzione di questi alimenti garantisce lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri nelle comunità del Mediterraneo e tra queste, oltre al Cilento in Italia, figurano Soria in Spagna, Koroni in Grecia e Chefchaouen in Marocco. Anche Slow Food ha messo il suo cappello su questo lembo di terra conferendo l'ambito titolo di Presidio Slow Food, appunto, a una serie di prodotti enogastronomici di tutto rispetto. Tra questi possiamo senza dubbio citare le alici di Menaica, il cui nome deriva proprio dalla tecnica di pesca, un tempo diffusa su tutte le coste del Mediterraneo, e oggi praticata in pochissimi posti, uno dei quali è il borgo di Marina di Pisciotta, a metà strada tra Velia e Capo Palinuro. Questa tipologia di pesca è ormai praticata solo da pochi pescatori, non più di sette o otto, che escono in mare all'imbrunire tra aprile e luglio, quando è calmo, con barca e rete chiamata, appunto, menaica o menaide (anticamente minaica), dalla quale prendono il nome le alici. Le reti vengono stese al largo sbarrando il percorso solo ai pesci più grandi e lasciando passare i piccoli. Poi le reti vengono issate in barca e le alici liberate una ad una a mano e subito lavorate, senza utilizzare ghiaccio o altro refrigerante. Vengono lavate in salamoia e poi riposte in vasetti di terracotta alternate a strati di sale per la stagionatura nei «magazzeni», locali freschi e umidi, dove in passato si ricoveravano anche le barche, e vi rimangono almeno tre mesi per maturare, ma senza asciugare troppo. La caratteristica principale di queste alici che le rende uniche è la loro carne chiara tendente al rosa e il profumo intenso e delicato. Si gustano fresche o sotto sale, crude o cotte con svariate gustose ricette. Altro particolare che rende questo prodotto ancora più a misura d'uomo il fatto che si compri direttamente dai pescatori al ritorno dalla pesca, tanto che, soprattutto d'estate, alle 8 del mattino sono già finite. Il Presidio Slow Food nasce proprio dalla volontà di assicurare a questi pescatori un reddito, salvaguardare una tradizione e un sapore del territorio e perché no, incrementare il turismo grazie alla pesca-turismo. Altro Presidio Slow Food caro al territorio cilentano è il Cacioricotta del Cilento, tipico dell'omonimo Parco, prodotto mescolando latte di capra e di pecora o solo quello di capra cilentana autoctona (i cui greggi sono allevati allo stato brado per 8 mesi l'anno grazie al quale il latte è ricco di acidi grassi insaturi e basso contenuto di colesterolo) nel periodo estivo. Il nome cacioricotta deriva dalla tecnica di lavorazione adottata, in quanto il latte viene coagulato parzialmente con la metodologia classica del cacio, e in parte con quella della ricotta. Sempre in tema di presidi Slow Food troviamo anche l'Oliva salella ammaccata del Cilento che viene raccolta ogni anno nel mese di settembre. Si scelgono le più polpose che ancora non hanno iniziato il processo di maturazione e nello stesso giorno – per evitare processi di disidratazione – vengono ammaccate con una pietra di mare e poi snocciolate pazientemente e immerse in acqua, che viene poi cambiata mattina e sera per 4/5 giorni. Poi è la volta di qualche altro giorno di immersione in una salamoia fatta con acqua, sale, alloro e finocchietto selvatico. Infine vengono pressate per far uscire l'acqua in eccesso e poi condite con olio extravergine, aglio, origano o timo e riposte a pressione in un barattolo per evitare che si imbevano di olio e diventino molli. Un lavoro certosino fatto con i frutti delle piante d'olivo come la salella (o lioi), licinella, monticedda o salentina che matura un po' prima delle altre varietà. L'olio che se ne ricava è equilibrato con sensazioni piccanti e amare, dai sentori erbacei e note mandorlate. Il Presidio Slow Food dell'Oliva salella ammaccata del Cilento è sostenuto dal Parco nazionale del Cilento e Vallo Diano, dal Comune di Pollica, dal Comune di Casalvelino e di San Mauro al Cilento, e riunisce alcuni agricoltori che hanno conservato questa tradizione e che la producono in maniera totalmente artigianale. Altri presidi locali sostenuti dal Parco nazionale del Cilento e Vallo Diano sono il carciofo bianco di Pertosa, il fagiolo di Controne, il cece di Cicerale, la Soppressata di Gioi. Il fagiolo di Controne si coltiva da centinaia di anni in questa terra grazie alla roccia stratificata ricca di carbonati che rende i terreni freschi e fertili e regala al fagiolo una buccia sottile e di facile cottura. Il «bianco» è piccolo dai semi tondeggianti leggermente ovoidali senza macchie, è tardivo e si semina tra la prima e seconda decade di luglio con raccolta a novembre nel corso di una sagra di paese. Tiene bene la cottura e i tempi sono inferiori al fagiolo comune. Si può anche essiccare e conservare tutto l'anno. Altri tipi di fagiolo di Controne sono il «fauciariello» nome derivato dalla forma di falce, il «lardariello», il «suscella» e il «minichella», tutti di colore terreo-bruno. Sono diciassette i produttori che aderiscono al Presidio Slow Food e tutti adottano pratiche di coltivazione eco compatibili. La conformazione geografica della zona e la pendenza del territorio purtroppo non permettono coltivazioni estese, ma tutti hanno ottenuto una caratterizzazione agronomica, genetica e qualitativa del fagiolo e individuato le tipologie migliori selezionatesi nel tempo. Per concludere questa carrellata su alcuni dei prodotti caratteristici del Cilento, non possiamo non ricordare che la Lucania occidentale, subregione montuosa della Calabria in provincia di Salerno, tra l'omonimo golfo e quello di Policastro, dal 1998 è patrimonio dell'Umanità dell'Unesco con i siti archeologici di Paestum e Velia e la Certosa di Pedula (dal 1997 è Riserva della Biosfera). |
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